Quattro regimi per le nuove attività
Le alternative per chi intende aprire la partita Iva dal prossimo mese di gennaio 2018 sono quattro, ognuna rappresentativa di un diverso regime contabile e, conseguentemente, di un differente imponibile fiscale.
Non è possibile anticipare a priori, con certezza, quale sia il regime più conveniente per ciascuna categoria di contribuenti, ma occorre, di volta in volta, analizzare le diverse variabili adattandole al caso concreto, peraltro mettendo in conto possibili sorprese (il rinvio dell’Iri al 2018 fa scuola e non si può escludere a priori un nuovo slittamento). Attualmente, in considerazione del fatto che il regime dei cosiddetti “minimi” (o “regime di vantaggio”, di cui all’articolo 27 del Dl 98/2011) è un regime a esaurimento – per il quale non sono più previsti ingressi dal 1° gennaio 2016 – le scelte possibili in sede di inizio attività sono le seguenti:
regime forfettario (disciplinato dall’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 190/2014);
regime di contabilità semplificata (articolo 66 del Tuir e articolo 18 Dpr 600/1973);
regime ordinario “non Iri”, disciplinato dal Tuir;
regime ordinario “Iri” di cui all’articolo 55-bis del Tuir.
Il primo è un regime naturale – possedendone i requisiti si applica di default – mentre gli altri sono regimi obbligati in presenza di determinati parametri (ordinaria “non Iri”) o, comunque, regimi che possono essere scelti su opzione.
In genere la scelta avviene per comportamento concludente e comunicazione “ex post” nella dichiarazione relativa al primo anno di opzione (Dpr 442/1997). Tuttavia, determinati adempimenti impongono scelte precoci: è il caso dell’implementazione dei libri contabili per il regime ordinario, o dei registri incassi e pagamenti per la “modalità di base” del regime semplificato. Lo stesso vale per l’omissione degli adempimenti, come gli obblighi Iva per i forfettari.
Le variabili in gioco sono tante.
In primo luogo è opportuno chiedersi quali siano i clienti del futuro imprenditore/professionista. Se si opera quasi esclusivamente con soggetti privati, un “regime di cassa” non serve a posticipare la tassazione sugli insoluti, ma la scelta per il regime forfettario può portare a incamerare la “rendita Iva” come differenza tra quella incorporata nei corrispettivi e quella assolta (senza detrazione) sugli acquisti.
In presenza di cessioni a rischio insoluto o con tempi di incasso piuttosto lunghi – si pensi a chi opera stabilmente con enti pubblici – un regime di competenza può rivelarsi penalizzante.
Anche l’aspetto dei costi da sostenere entra prepotentemente in gioco: nel regime forfettario, sono astrattamente attribuiti in percentuale sui ricavi, mentre negli altri regime la deduzione è analitica, anche se può avvenire per competenza (regime ordinario) o in modo “misto” (regime semplificato).
Altro aspetto da considerare è la complessiva situazione reddituale del contribuente. In presenza di carichi familiari, oneri deducibili o detraibili rilevanti, una imposizione sostitutiva (quale quella forfettaria o quella prevista dal regime Iri) può rivelarsi controproducente, sottraendo capienza a tali benefici.
Un regime “a due livelli” come l’Iri conviene solo se si hanno redditi d’impresa piuttosto elevati che possono essere non prelevati per un certo periodo di tempo, altrimenti le complessità conseguenti all’opzione rendono inefficiente la scelta.
Spesso una decisione non basta.
È il caso di chi adotta la contabilità semplificata, per la quale il legislatore ha previsto tre diverse modalità concrete di applicazione, che portano talvolta a un differente imponibile fiscale. In alcuni casi la scelta è quasi obbligata dal tipo di attività svolta (si veda la casistica relativa ai dettaglianti riportata dalla circolare 11/E/2017), in altri può essere il frutto di un calcolo di convenienza dell’imprenditore, senza dimenticare che il peccato originale di questo regime (ossia l’addebito integrale delle rimanenze iniziali nel primo anno senza il correttivo del riporto a nuovo delle perdite) non è ancora stato eliminato dal legislatore, contribuendo a penalizzare chi si trova o vuole fare ingresso nella contabilità semplificata provenendo dall’ordinaria. Il peso delle rimanenze, in assenza di aggiustamenti, diviene a volte decisivo, non solo per chi proviene dall’ordinaria ma anche per chi è abituato a riempire il magazzino alla fine dell’anno.
Non sarà estraneo alla scelta anche l’onere amministrativo richiesto, che cresce al crescere della complessità del regime, pur nella considerazione che non sempre il disporre di pochi dati rappresenta la scelta migliore (si pensi ai rapporti con gli istituti di credito, con il Fisco, alle analisi di redditività e così via).
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